Fin dalla notte dei tempi in cui la vite mise barbe in queste zolle etrusche, nacque un innamoramento sincero e fruttuoso in una delle zone più vocate del pianeta per produrre vini raffinati e duraturi nel tempo.
Nei dintorni di San Gusmè fino a quando le stagioni si susseguivano con la regolare ciclicità del sole e del gelo, i vini che ne uscivano – per piacevolezza e beva – potevano competere alla pari con chiunque.
Negli ultimi venti anni di inverni latitanti e mesi di clima torridi, è venuto meno ciò che le condizioni naturali climatiche rendevano facile, e si è dovuta affinare l’arguzia campestre per preservare al meglio il raffinato fascino all’interno delle bottiglie.
Nel piccolo è più facile applicare la costanza e la presenza per cogliere l’attimo migliore, sfogliare le viti alla bisogna in caso di umidità che si protrae o lasciare i grappoli protetti e riparati con la massima copertura delle foglie a fare a schermo al forno del sole.
Paradossalmente le zone più estreme messe in posizioni basse o alte, consentono di ottenere vini che fino a pochi anni fa erano impensabili, mentre i luoghi megli esposti tengono mani e mente in continuo moto per preservare eleganza.
La Lama è il classico podere a due passi dalla città di Siena che con la fuga dalle campagne da chi per generazioni e secoli si è occupato di allevamento e coltivazione, è stato rilevato da “inurbati” come casa di campagna per i fine settimana, facendo conto su un po’ di olio e vino buono per l’annata.
Alla fine degli annni ’60 venne rilevata dalla famiglia Campani con l’intenzione di avere un rifugio a due passi dalla città, nell’armoniosa ruralità intorno a San Gusmè, a breve distanza degli altisonanti squilli di Pagliarese e Castell’in Villa.
Alla produzione e commercializzazione di vino in bottiglia si arriva recentemente, ma dopo una lunga serie di prove e affinamenti per arrivare al concepimento del “Vino sublime”, riproposizione del più puro spirito “ricasoliano” dei nostri tempi.
La missione è perfettamente riuscita. Non c’è fretta e dalla cantina non escono giovani adolescenti, ma maturi e saggi esemplari la cui scomposta giovinezza è stata limata dal tempo in botti di rovere non tostato, la cui sosta si traduce in anni, dopo essersi spogliati del grosso con l’escursione termica dei serbatoi inox in cui i rossi sostano nel primo anno di vita.
Tra acciaio, botte e bottiglia, il vino non esce allo scoperto prima dei cinque anni di liceo in cui si stabilizza, affina, mette in mostra la pregevolezza al naso, sorretta dall’acidità che pulisce il palato: è un sangiovese sontuoso e commovente il Chianti Classico della Lama.
Al contempo c’è la voglia di diversirsi e di provare forme diverse: malvasia e trebbiano che da quasi trent’anni sono stati banditi dall’uso della miscela di uve per disciplinare di produzione per il Classico, ma che vengono reimpiegati nel più classico dei vini in aggiunta al sangiovese.
Nasce l’Indisciplinato 1924, un IGT che ha in se un ritorno alla tradizione per sfidare l’ardore dei tempi, far risentire la florealità e la beva a chi per età ha sorseggiato solo i “muscoli”, un sorso di giovinezza per chi è cresciuto nella brezza di calici piacevoli.
Tre ettari di vigna, quattro versioni, un piacevole Vermuth (malvasia e trebbiano) con le etichette disegnate dai ragazzi dell’Orto Felice, pareti coperte con cataste di bottiglie ad affinare, sogno realizzato di un vino raffinato e struggente.